Il ruolo dei genitori di un atleta

Quando siamo piccoli siamo soliti dare certe cose per scontate. Ed è giusto così – certo – ma quando si cresce e ci si accorge di quanto in realtà quello che hai sia prezioso, ti assale una sensazione mista tra la gratitudine per un dono inaspettato e il sollievo per avere ancora qualcosa di importante che forse, fino a quel momento non avevi protetto a dovere. Non so se mi sono spiegata, ma nella mia testa è molto chiara questa percezione. Una delle cose, grazie alle quali mi sento una persona estremamente fortunata, sono i miei genitori. Quando vedo i bambini rispondere male ai propri genitori o sottovalutare l’impegno che stanno affrontando per crescerli vorrei intervenire, spiegare… Ma subito ricordo che anche io ero come loro, reagivo così a volte, e fa parte del gioco. Alla fine una delle cose che sanno fare meglio – i genitori – è proprio “mascherare” questa grande fatica.

I miei genitori hanno sempre lavorato tanto. E quando non lavoravano spesso parlavano di lavoro, perché – ahimè – fanno pure lo stesso lavoro. Eppure non mi sono mai sentita trascurata. “Facile – dirà qualcuno – hai passato la tua vita in palestra!” E invece vi dirò che, appunto per questo, il loro “mestiere” era reso ancor più duro. Il genitore di un atleta si trova a dover spiegare cose, e indirizzare consigli al proprio figlio, spesso in un ambito che non conosce. Cosa prova mia figlia agonista? Cosa è meglio per lei? Tra la voglia di dare il massimo e la paura di sbagliare è davvero difficile ed è inutile negare che l’impronta del genitore su un atleta è fondamentale: a volte addirittura determinante. Ecco,appunto per questo mi sento di dover fare alcuni ringraziamenti a mamma e papà.

Intanto “grazie” a mamma e papà per non aver mai fatto i miei compiti. Anche quando tornavo stanca la sera tardissimo dalla palestra sapevo. Aprivo il diario e, a testa china, mi mettevo sui libri. Sapevo che nessuno si sarebbe accorto se mi fossi dimenticata di fare qualcosa, ma se avessi portato a casa un’insufficienza, allora sì! Ecco una prima grande forma di responsabilità per una bambina di 10/12 anni, per me è stata fondamentale perché mi sentivo in dovere di fare qualcosa senza che nessuno me lo ordinasse.

Ancora “grazie” per non aver mai screditato gli insegnanti davanti a me. Perché si, incontriamo persone più o meno giuste lungo il percorso noi atlete, ma se non ci fidiamo di chi ci insegna è finita ancor prima di cominciare. Per questo sono estremamente grata alla mia famiglia, che anche quando c’è stato qualche problema non ha mai accolto fino in fondo le mie lamentele, mi ha invitata a riflettere sui miei errori prima di giudicare un allenatore, a rispettarlo prima di reagire… Questo talvolta mi ha fatta arrabbiare e sentire incompresa, ma oggi penso che, se avessero reagito in altro modo, forse avrei mollato molto prima di arrivare a grandi risultati.

Ci sono stati tanti momenti difficili per tutti nella mia famiglia, sia lavorativi sia personali, ma c’è sempre stata forza, un sentimento condiviso, una certezza, che davano una marcia in più a tutto ciò che facevo. Il potere dell’affetto della mia famiglia è stato enorme. Mi ha aiutata a superare grandi dolori e mi ha resa ancora più felice nelle gioie e nelle vittorie. Se ci penso ho passato quasi più tempo in palestra con le mie allenatrici che a casa coi miei genitori! In effetti a 14 anni vivevo già lontano da casa, figlia unica… Non dev’essere stato facile per loro. Eppure mi sono sempre sentita supportata. E mai sola.

I genitori sono un po’ come degli eroi per i bambini: giusti, invincibili: modelli da imitare. E proprio loro – i miei eroi – erano orgogliosi di me, li rendevo felici, e non solo quando vincevo le gare! Dopo Rio la mia vita è cambiata, i miei ritmi e i miei impegni sono stati stravolti. E grazie a loro, boa e ancora a cui appoggiarmi sempre, trovando ristoro, non ho mai perso di vista l’orizzonte. Grazie, mamma e papà (“babbo” si dice da noi in Toscana): auguro a tutte voi ginnaste di avere la mia stessa fortuna!