Da quando ero piccolina, fino alla fine della mia carriera da atleta, ho sempre fatto questo “gioco” con le mie compagne di società o di squadra: indovina l’umore dell’allenatrice.

Eravamo convinte profondamente che, in base a dettagli quali la sua pettinatura, il portare o meno gli occhiali, il tipo di scarpe che indossava, potessimo definire come sarebbe andato l’allenamento!

In effetti la maggior parte delle volte era così. Se Laura entrava in palestra con la coda, sicuramente era arrabbiata e l’allenamento sarebbe andato male.

Adesso, messi da parte le coincidenze e il buon karma, che ogni tanto ci mettono del loro, una volta diventata grande ho pensato molto a come queste dinamiche psicologiche possano condizionare la mente di una bambina, soprattutto di quelle suscettibili ed emotive come lo ero io.

In effetti, non posso certo affermare che la coda o un paio di Ugg possano essere la causa di una giornata infernale, ma posso dire che questo sistema ha un potere molto forte sul rendimento di un atleta ( almeno, per me è stato così) e che tutto ciò si può riportare anche nella vita lavorativa, affettiva e sociale di ogni persona.

Ho capito tardi il potere della mente ed è una delle cose che più rimpiango, ma è stato bellissimo scoprirlo nel tempo vedendo quanto fossi capace di fare semplicemente “pensando diversamente”.

Prendiamo l’esempio sul toto-umore che facevo con le mie compagne.

Il primo errore, mi accorgo ora, era quello di iniziare la giornata pensando che il suo andamento sarebbe dipeso da un’altra persona e non da me.

Mettevo letteralmente nelle mani della mia insegnante il mio rendimento.

Questo è – senza dubbio –  anche un modo per scaricare parte di quel fardello di responsabilità che si porta sulle spalle quando ci si allena tanto, della serie “se non ci riesco non è colpa mia”. E così, se arrivava il primo segnale negativo (es. Laura arriva con la coda) e lo coglievo, mi convincevo che la giornata sarebbe andata di m***a, e al 90% così andava, per davvero. É come quando diciamo “se faccio canestro con la carta…”, non è che se non centri il cestino non hai chance, ma il fallire quel gioco sciocco ti fa entrare in un mood di negatività che devi essere bravo a scacciare, altrimenti condizionerà le tue prossime mosse. Per questo la scaramanzia è un’arma a doppio taglio, che va saputa usare bene per non ritrovarsi col coltello dalla parte sbagliata.

In gara, per esempio, mi succedeva spesso di fare pensieri del tipo “se faccio così, allora…” e in gara è pericolosissimo, essendo chiaramente un momento delicato. Ahimè quasi tutti gli atleti sono scaramantici, a modo loro, e questo a dimostrazione di quanto possa aiutare avere un certo tipo di pensieri e di quanto sia fondamentale possedere un meccanismo psicologico interno che funzioni, per sostenere momenti di profondo stress come quello della gara.

Quando ero piccola entravo al palazzetto e iniziavo a capire come sarebbe andata la gara dall’umore della mia insegnante, da come mi guardavano le altre bambine, dal mio stato fisico, dall’atmosfera e tanto altro… Oggi mi rendo conto che ci sono state gare in cui avrei potuto dare molto di più e invece si sono concluse in disastro, proprio perché la mia testa era convinta che quella fosse l’unica possibilità. Con gli anni sono cambiata, ma non troppo, perché le persone, in fondo, rimangono sempre loro stesse, secondo me. La scaramanzia non mi ha abbandonata nemmeno a 25 anni, frutto anche dell’educazione ricevuta da mia nonna, la quale mi aveva sempre fatto credere che tutto ciò che di negativo mi accadeva, poteva svanire nel momento in cui lei mi avrebbe tolto il malocchio col piatto dell’acqua (lo leggete nel mio libro “Fai tutto bene”). Però, alla fine, la scaramanzia imparato ad usarla meglio. Mi sono messa al riparo dai disastri cercando sicurezza in cose più concrete e meno casuali quali lo sguardo delle mie compagne, un portafortuna sempre con me, un pizzico di meditazione pre gara (che ho imparato con fatica data la mia natura agitata).

Se una giornata parte male è piuttosto normale andare inizialmente in panico, ma c’è sempre una soluzione dentro. Basta ascoltarsi, e per farlo c’è da imparare! La cosa fondamentale è che ho spostato il focus su di me, da un certo punto in poi ho provato a cambiare io nei confronti del problema e di capire come stessi IO prima di giudicare la giornata in base a come stessero gli altri.

E poi, certo, cose come il canestro con la pallina le faremo sempre, ma se non ci riusciamo diamoci almeno altre possibilità!