Credo che una fra le cose che accomuna gli sportivi di ogni disciplina, sia proprio la sensazione che si prova durante la preparazione di una competizione importante. Il fatto è che ogni gara, anche una semplice esibizione, provoca adrenalina, emozione, eccitazione, ma il pensiero di “quella” gara ti accompagna sempre, talvolta inconsciamente, ma comunque non ti lascia mai. Dall’inizio alla fine della stagione agonistica. È strano come al principio, quando l’appuntamento è ancora lontano, lo stesso sembra impossibile da affrontare, difficoltoso, ma allo stesso tempo meravigliosamente “pericoloso”, attraente, un bel sogno anche se fa paura, al punto giusto.

Le Olimpiadi per esempio: le avevo sognate tutta la vita, poi è arrivato il 2012 e ogni volta che entravo in pedana quell’anno pensavo a come avrei potuto gestire l’emozione. Un’emozione che già mi sembrava grande in quelle occasioni e non immaginavo, che una volta giunta a Londra, sarebbe cresciuta in modo esponenziale. Poi il giorno arriva e prima di entrare in pedana –  a queste cose –  non ci pensi più, anche perché non ne hai materialmente il tempo!

Quando ero molto piccola per un certo periodo ho creduto che alcuni riti scaramantici avessero il potere di influenzare in gran parte l’andamento della gara; ero attaccata a quei gesti e agli oggetti ed ero convinta che senza di essi non avrei mai potuto conquistare un risultato positivo.

Col tempo, invece, è arrivato il cambiamento più bello, ovvero l’arrivo della consapevolezza (almeno in parte) dei miei mezzi. La comprensione che le mie capacità psico-fisiche fossero il motore del successo, alimentato accuratamente per giorni e giorni con lunghi e costanti allenamenti, e che quei rituali erano un qualcosa che psicologicamente mi aiutava a sentirmi più sicura senza essere sottoposta a schiavitù dagli stessi.

Prepararsi insieme alla propria squadra ha un sapore speciale: se vogliamo è un doppio lavoro che ogni componente deve fare, perché ogni atleta si prepara sia individualmente sia in relazione agli altri. La squadra è come un’entità a se che ha bisogno di essere “preparata”, formata da componenti che a loro volta devono esserlo individualmente… Almeno, io ho sempre avuto questa sensazione .

Essere pronti è difficile! Non basta andare in palestra tutti i giorni… Per essere pronti bisogna acquisire sicurezza, ma allo stesso tempo non sottovalutare le possibilità d’errore. Allenarsi molto, ma non esaurire le energie, pensare ad ogni cosa, ma allo stesso momento non cambiare l’automatismo dell’esercizio. Un’impresa, insomma! Non addetti ai lavori: adesso capirete perché noi della ginnastica ritmica abbiamo bisogno di ripetere gli stessi esercizi all’infinito. Per questo ogni esecuzione impeccabile portata a termine in gara è un successo meraviglioso, e sempre per questo motivo la ginnastica ritmica è uno sport estremamente difficile, dove dietro ogni sorriso si nascondono mesi e mesi di allenamenti, sudore, impegno, coraggio, ma soprattutto: la passione. Il motore fondamentale.

Ci sono periodi di preparazione intensi che ricordo molto bene, altri più sfocati, ma ci sono dettagli che nei miei pensieri rimangono costanti. Anno dopo anno, l’emozione di rappresentare il proprio Paese diventava più consapevole, la forza della squadra, persone così diverse che si impegnavano con tutte le proprie forze per raggiungere uno scopo comune. L’aiuto reciproco, l’intesa è le piccole incomprensioni…Gli abbracci, i pianti e le risate, gli allenamenti interminabili, il caldo e i tramonti di Follonica. Le valigie… Si parte!